«Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande»
(Charlie Brown)

Conoscenza e dubbio sono due facce della stessa medaglia. Se, infatti, non mettessimo in dubbio i dati della nostra esperienza sensibile, o i fatti che ci passano per la mente, difficilmente potremmo giungere a sapere qualcosa.
L’umanità del resto ha fatto e fa i suoi passi avanti a partire proprio dalla capacità e dal desiderio di sapere, e lo fa anche attraverso il dubbio.
D’altro canto ci sono persone che non riescono a destreggiarsi in questi dubbi e soffrono delle loro eccessive manifestazioni.
Cercheremo brevemente di indagare l’origine del dubbio e i suoi lati “generativi” e quelli “patologici”.

Il dubbio come strumento

Una mente incapace di dubitare sembra quasi una contraddizione di termini, e infatti il dubbio è uno degli strumenti più potenti e al tempo stesso divisivi del pensiero. Da una parte ci sono coloro che ritengono che il dubbio debba essere utilizzato poiché non c’è una verità definita, e che essendo l’uomo “misura di tutte le cose”, come diceva il filosofo Protagora, ci sia un bisogno costante di ricercare perlomeno una conoscenza, che spesso dipende dal punto di vista di chi la guarda.

Dall’altra parte c’è l’apparentemente più rassicurante posizione di quella tradizione di origine platonica che ritiene che da qualche parte una Verità ci sia1 .

In questo conflitto tra le due posizioni emerge la natura demonica del dubbio, in quanto gesto che è nello stesso tempo necessario alla conoscenza del vero ma paradossalmente deleterio per il mantenimento di una verità cristallizzata – il “dogma”. Se infatti esiste una verità – sia essa rivelata, scoperta, immaginata, desiderata –, qualsiasi disquisizione su quella verità è da denigrare, poiché diviene immediatamente menzogna, malafede, eccessivo desiderio di libertà e quindi eresia nella sua stessa intima natura. O si sta nella luce della verità o c’è il rischio di diventare dei paria dove sarà “pianto e stridore di denti”, assieme agli altri eretici. Del resto il termine “eretico” deriva dal greco e significa proprio “colui che sceglie”.

Portando seco questa ambiguità, nemmeno tanto ben celata, lo strumento del dubbio attraversa la storia del pensiero, da S. Agostino, Galileo, Cartesio e Spinoza, fino a Hume, Kant, Nietzsche, Gödel, Schrödinger, Einstein, Popper solo per citare alcuni celebri nomi.

1 Questo concetto si può trovare per esempio nella Repubblica di Platone.

Quando il dubbio è generativo

Si è già accennato al dubbio come a uno strumento del pensiero, anziché al pensiero stesso. Vi sono molteplici esempi di come questo strumento sia stato utilizzato con profitto, in modo generativo.

Uno su tutti è il dubbio cartesiano: il noto filosofo Cartesio, principiando dal dubbio di essere ingannato da un dio malvagio, che gli fa percepire un mondo dove c’è il nulla, arriva alla comprensione della sua stessa esistenza, proprio in virtù del fatto che dubita, e dubitando “cogita”, cioè pensa, e questo è il primo ancoraggio che ha con l’esistenza, che si riassume nel celebre motto “cogito ergo sum”2 .

Galileo Galilei punta il cannocchiale verso il cielo, in un atto che è eretico di per sé. Il dubbio verso le cose celesti, considerate come immutabili, fa nascere la scienza – un nuovo strumento, un nuovo metodo – e intacca la nostra prospettiva antropocentrica, spostandoci dal centro dell’universo alla periferia.

Esiste addirittura la “scuola del sospetto”: Marx, Nietzsche e Freud3 . Il primo dubita riguardo la distribuzione della ricchezza, il secondo dubita la morale, l’ultimo dubita dell’Io. Questi pensieri hanno permesso di stravolgere l’immaginario collettivo tradizionale e hanno innescato quei cambiamenti sociali che hanno attraversato l’intero Novecento.

2 Caresio, 1990.
3 Ricoeur, 1967.

Quando il dubbio diventa patologico

Quando è che il dubbio ci si ritorce contro?
Potremo dire che questo inconveniente ci accade quando il dubbio minaccia di diventare il pensiero e ci impedisce di progredire con la nostra vita.

L’ILLUSIONE DI POTER TROVARE UNA SOLUZIONE A TUTTO

Ci si può trovare preda di un pensiero martellante, si entra in dialogo con se stessi nel tentativo di fermarlo, o di scacciarlo o di trovargli una soluzione razionale. In alternativa può essere che si cerchi di evitare questo pensiero, incappando nella psicotrappola del pensare di non pensare, e non ci si accorge che pensare di non pensare è già pensare. È quasi impossibile barare scientemente con se stessi.

In questi casi le varianti di pensiero sono pressoché infinite, dalla paura di far male a sé o agli altri, alla vergogna che ci tormenta per qualcosa che è accaduto in passato, fino al cercare certezze assolute di qualcosa che si teme, come un tradimento, come è ben rappresentato in alcune tragedie, come in Otello o nella Ricerca del Tempo Perduto di Proust4.

Il tentativo è sostanzialmente quello di scacciare il ricordo, colmare la paura, risolvere un dilemma, attraverso un procedimento razionale. Questo tentativo risulta particolarmente difficile da portare a termine, avendo a che fare con qualcosa che razionale non è.

L’Otello di Shakespeare5 si tormenta con il dubbio che la moglie Desdemona gli sia infedele. Il suo dubitare sfrenato, alimentato anche dall’infido Iago, lo porteranno a metterla alla prova fino a creare da sé gli equivoci che culmineranno in una fine infausta. Situazioni simili capitano anche nella vita al di fuori della narrazione.

Forse meglio di tutti lo sa Charlie Brown, che apre questo articolo, il quale intuisce che quando pensi di aver trovato delle risposte, emergono altre domande a cui, in precedenza, non si era pensato. E allora si riparte con un altro giro di giostra dentro il labirinto della nostra mente.

4 Proust, 2001.
5 Shakespeare, 2013.

L’ILLUSIONE DEL “CONOSCI TE STESSO”

In altri casi ci si può trovare a cercare di realizzare il motto delfico “conosci te stesso” (gnothi sautón). A prima vista anche questo obiettivo sembra sensato e moralmente elevato, capace di donare una certa ‘profondità’ a chi vorrà metterlo in pratica. D’altra parte troppo spesso non si tiene conto che, come disse Rimbaud6 , “Je est un autre” – “Io è un altro” –, nel vero e proprio senso della parola. Il tentativo di conoscere tutte le nostre parti e di ridurle a processi logici, è illogico fino alla follia, poiché si dimentica che la logica, come il dubbio e come la scienza, è solo uno strumento, e che dentro di noi siamo esseri stupendamente ambivalenti.

Quando cerchiamo di conoscere la completezza della nostra interiorità accadde che il pensiero ci si ritorce contro e diventa un nemico. Quando ci sembra di avere raggiunto un porto sicuro c’è sempre questo “altro” dentro di noi, che sgomita per uscire, che disfa le certezze così duramente conquistate, e ci riporta al largo. Chi sta in questa condizione scopre di esser in una posizione di affaticamento mentale, di fatica di pensare.

6 Rimbaud, 1993.

DUBBIO E TECNOLOGIA

Anche la tecnologia può influire sul dubbio patologico?
Nel libro “Tre uomini in barca”7 il protagonista si trova a consultare l’Enciclopedia Britannica per via di un doloretto che accusa. Si accorge che i sintomi corrispondono perfettamente a quelli di una malattia mortale. A quel punto gli cade l’occhio sulla voce successiva, e scopre di avere anche quella malattia. A furia di leggere uscirà dalla biblioteca piuttosto spaventato, convinto di avere tutte le malattie del mondo.

La differenza tra il protagonista di quel romanzo e la nostra contemporaneità è che quella ‘conoscenza’ è sempre con noi, con una mole di informazioni decuplicata, e il cui accesso richiede un minimo sforzo.

Chi non si è mai sorpreso a cercare qualche sintomo che sente su internet? O chi non ha mai cercato una parola, il nome di una attrice che non ricorda, il significato della vita, i dieci modi per tagliare il cavolo, le soluzioni certe a questa pandemia?

Questa tendenza a ricercare risposte immediate e rassicuranti e parziali a ogni nostro interrogativo è una delle strade maestre verso un dubbio non più generativo ma patologico, poiché diviene una specie di rituale incontrollabile e irrinunciabile a mezzo di quel novello sapientino che è internet.

7 Jerome, 1978.

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