Quando mento, e dico che sto mentendo,
mento o dico la verità?
Aulo Gellio
I concetti di verità e menzogna hanno un loro incredibile magnetismo che non smette mai di affascinarci.
Nella natura la menzogna è assai diffusa, quasi universalmente, anche tra gli animali. Celebre è l’esempio del cane di Konrad Lorenz – padre dell’etologia –, che ormai vecchio e mezzo cieco, (il cane, non l’etologo) non riuscendo più ad avere una visione nitida del mondo per non sbagliare abbaiava a chiunque. Quando si accorgeva di stare abbaiando al suo padrone, che nel frattempo era arrivato a portata di naso, per proteggersi dalla figuraccia tirava dritto fino alla recinzione, fingendo di avervi scorto minacce ad altri impercettibili.
La bugia ci affascina perché mette in moto la fantasia (creare storie che siano al tempo stesso fantasiose e plausibili), funzioni complesse del linguaggio (metacomunicare e confondere i significati), il senso dell’umorismo (Una signora entra in un bar: “Un bicchiere d’acqua e menta”. “Lei è bellissima…”, “Grazie!”, “E questa è l’acqua”), salva la nostra dignità e in altri casi protegge qualcuno a cui vogliamo bene, anche se non sempre le migliori intenzioni si traducono in fatti.
L’altra faccia della medaglia è che, a dispetto della morale e di certe pretese peggio che moraliste, non c’è una realtà unica per tutti, né è coglibile con alcun mezzo. Chi dice il contrario mente. Come ci ricordano molti filosofi e psicologi, da Aristotele a Kant, da Platone a Paul Watzlawick, alla fin fine, anche volendo mettercela tutta, non si può avere la verità, poiché essa altro non è che la nostra percezione della realtà. Il filosofo Platone, che parla di idee eterne e immutabili lo dice in modo molto chiaro: non è possibile conoscere la verità delle cose, al massimo possiamo avvicinarci per approssimazione. Il reale, che noi cogliamo come tale, viene crivellato da diversi filtri: la nostra percezione, la nostra interpretazione e la nostra memoria.
C’è un ulteriore ostacolo: il passaggio comunicativo non è mai immediato, anzi il linguaggio, anche se sembra scontato è estremamente difficile da rendere comprensibile in modo che il nostro interlocutore possa comprendere esattamente quello che vogliamo dirgli nel modo in cui vorremmo che egli lo interpretasse. Pensiamo a quanto sia difficile anche per noi: a chi non è capitato di dire qualcosa che nelle intenzioni fosse interessante o spiritoso, per poi rendersi conto che l’effetto sperato è stato disastroso e non propriamente sovrapponibile a quello immaginato? Se è così difficile comunicare con noi stessi, quanto può esserlo comunicare con qualcuno che è altro da noi?
Per queste ragioni la verità non è mai interamente coglibile. Chi lavora con le persone sa perfettamente che il nostro cervello continua a mettere mano al nostro passato, rielaborandolo, e modificandolo in aspetti seppur minimi: i nostri vissuti cambiano continuamente. Anche nei processi, a dispetto dei film, la testimonianza oculare non è, e non può essere tenuta in gran conto, poiché le memorie delle persone possono modificarsi anche di molto, trovandosi nel paradosso che si scagiona un colpevole o, peggio, si accusa un innocente. Dobbiamo, quindi, fare i conti con l’idea che la verità sta sempre nel nostro percepito, che oltre a modificarsi, è totalmente singolare.
Il filosofo Leibniz sostiene che ogni individuo è una “monade”, cioè l’elemento fondamentale e indivisibile che costituisce la realtà. Ogni monade è inviluppata su sé stessa come una perla, e la peculiarità di ogni monade è quella di mettere in luce solo e soltanto una parte di quell’infinito che tutti ci accomuna. Ogni monade, per questo motivo, coglie l’infinito da un solo ed unico punto di vista. Se non ci sono due individui che siano perfettamente identici e che abbiano il medesimo punto di vista, com’è possibile cogliere la verità, che è soggettiva? Al massimo possiamo metterci d’accordo su certe approssimazioni. Per questo Ernest von Grasesfeld – uno dei padri della cibernetica – sostenne che la verità è la menzogna di un bugiardo.
Se proprio non è possibile evitare di mentire, pur con l’idea di dire la verità, ricordiamoci che, come scrisse Oscar Wilde: “Un po’ di sincerità è pericolosa, ma molta è assolutamente fatale”
Giulia Rinaldi
e
Giovanni Albertini
* articolo pubblicato su “Il Reno” – luglio 2023; Editore: Accademia della Bugia APS.